Come proteggere i bambini da immagini e racconti di guerra

bambino che gioca con la sua ombra

“Se cerchiamo una pace vera e se vogliamo ingaggiare una vera guerra contro la guerra dobbiamo cominciare dai bambini.”

Gandhi

Il momento storico attuale è drammaticamente entrato nelle case di tutti. Sentimenti di smarrimento, paura, impotenza, incertezza sul futuro hanno invaso improvvisamente le nostre vite. Pur volendoli proteggere, il tema della guerra è entrato inevitabilmente anche nella vita dei nostri bambini. Forse molti genitori con figli in età prescolare si staranno chiedendo cosa fare, come e se intraprendere un discorso di questo genere, quali parole utilizzare, se sia giusto esporre i più piccoli a tale cruda tematica, oppure proteggerli.

La guerra, a livello neuro-cognitivo, è un tema molto complesso da comprendere per un bambino in età prescolare. Proprio per questo, l’accortezza più grande che possiamo avere nei loro confronti è quello di proteggerli, fino almeno ai 7-8 anni, da immagini e dialoghi tra adulti richiamanti ansia e angoscia inerenti a tale tematica. Ma ciò non significa che non abbiano assorbito informazioni, sensazioni e stati d’animo dal contesto in cui sono immersi. Poiché naturalmente curiosi verso la realtà che li circonda, potrebbero rivolgere all’adulto delle domande relative alla situazione in corso.

Bisogna però considerare due temi importanti, nel momento in cui si andrà a rispondere alle domande generate dai bambini: il livello dell’informazione e l’emotività in gioco. Se pone una domanda dettagliata, o esprime la sua curiosità in riferimento a un tema particolare, sarà bene concentrarsi su di esso con semplicità e chiarezza, mediando la mole di informazioni e adeguandola all’età di riferimento, mostrarsi sicuri, calmi e disponibili nell’affrontare l’argomento, evitando di esibire reticenza: il rischio potrebbe essere quello di una dissonanza tra il piano del contenuto e dell’emotivo, che nei nostri bambini potrebbe essere responsabile di stati emotivi e psicologici non sostenibili per questi ultimi.

Gli adulti hanno quindi il compito fondamentale di comunicare ai più piccoli di essere essi stessi consapevoli, in grado di regolarsi emotivamente, gestendo l’ansia e la paura. Il bambino, in questo modo, si sentirà accolto e si affiderà all’adulto di riferimento, trovando di fronte a sé una base sicura in grado di riconoscere e rispecchiare la propria emotività.

Uno spunto interessante è una riflessione di Daniele Novara: in una sottile (o non troppo) differenza semantica, sottolinea quanto sia essenziale non paragonare l’attuale situazione di guerra ai litigi che caratterizzano la spinta alla socialità e l’incontro con l’altro dei bambini. La guerra è violenza, ovvero l’incapacità di sostare nel conflitto, che è, al contrario, un momento fondativo e generativo della relazione. È proprio imparando a gestire i conflitti, che si evita la violenza.

Assecondando la naturale curiosità del bambino si creerà uno spazio simbolico protetto in cui accogliere e valorizzare alcune delle grandi domande filosofiche sull’esistenza che i bambini, fin da piccolissimi, iniziano a porsi, accompagnandoli in questo modo alla scoperta del mondo e del loro essere-nel-mondo. Come adulti, valorizzeremo il pensiero complesso, ovvero un pensiero capace di riflessioni a largo spettro, perché si nutre del dialogo tra discipline diverse sui problemi della società, della civiltà e sul significato della democrazia.

E se i vostri bambini non vi faranno domande… potrete usare quel tempo per pensare a quale tipo di mondo stiamo lasciando in eredità a loro.

 

Martina Borsatti – Educatrice Scuola dell’Infanzia BusyBees Italia